1. Introduzione
L'applicazione del diritto suole concepirsi come l'attività consistente nel determinare la norma individuale
che stabilisce una certa conseguenza normativa per un caso individuale determinato(1). A tal fine, è necessario
dimostrare che detto caso è un'istanza di un caso generico al quale la norma giuridica applicabile riconnette
una determinata conseguenza giuridica. Questa operazione è detta sussunzione.
Tuttavia, quando si tratta dell'applicazione di princìpi costituzionali (in special modo di princìpi
che stabiliscono dei diritti) si sostiene che la sussunzione non sia un'operazione adeguata e che debba essere
sostituita da un'altra operazione denominata ponderazione. Ancor di più, la ponderazione è solitamente
considerata come uno dei tratti caratteristici dell'applicazione del Diritto nella cultura del costituzionalismo(2)
.
In questo lavoro si intende presentare più precisamente, da un lato, il concetto di ponderazione, basandosi
pur senza accettarle acriticamente sulle idee di R. Guastini e R. Alexy, e anche degli aspetti di queste posizioni
che considero insufficienti. A partire da dette idee, d'altra parte, cercherò di presentare un concetto
di ponderazione che non si contrappone alla sussunzione. Rispetto a questa, la ponderazione è un passaggio
previo che renda possibile l'imprescindibile sussunzione.
2. La ponderazione in Guastini
Per presentare la concezione guastiniana della ponderazione è bene esporre, in maniera sommaria, alcune
tesi di Guastini sull'interpretazione giuridica. Nello specifico, vorrei fare riferimento alle due seguenti:
1. La tesi della distinzione tra disposizione e norma(3) . Sebbene l'espressione "norma" si usi in molti
sensi nella letteratura giuridica, è importante distinguere il testo dei documenti legislativi, che sono
l'oggetto dell'interpretazione e che Guastini denomina disposizione, dal contenuto di significato di detto testo,
che Guastini denomina norma; la norma non è altro che il risultato dell'attività interpretativa.
D'altra parte, non si dà una relazione biunivoca tra disposizione e norma, dato che una disposizione può
esprimere una pluralità di norme, ed una sola norma può essere espressa da varie disposizioni.
2. Questa distinzione comporta una conseguenza di rilievo per la concezione guastiniana dell'interpretazione giuridica
elaborata da Guastini, seguendo G. Tarello. Dato che i significati, le norme in quanto contenuti significativi,
non precedono l'interpretazione, ma ne sono il risultato; l'interpretazione non deve considerarsi come l'attività
consistente nello scoprire il contenuto dei testi o dei documenti normativi, ma come l'attività consistente
nella proposta o stipulazione di determinati significati per determinati testi. Questa è la seconda tesi,
la tesi dello scetticismo interpretativo. Come afferma lo stesso Guastini:
"il significato non è precostituito all'attività interpretativa, perché è una
variabile delle valutazioni e decisioni dell'interprete. La scelta di attribuire ad un certo enunciato un significato
a preferenza di altri è frutto di volizione, non di conoscenza"(4) .
Guastini, in altre parole, propone una concezione scettica dell'interpretazione giuridica. Gli enunciati interpretativi
non sono giudicabili in termini di verità o di falsità, perché non sono un prodotto della
conoscenza, ma della volontà. Le uniche attività descrittive possibili in materia di interpretazione
sono, in accordo con le teorie di Tarello e Guastini, quelle consistenti nel mostrare come determinati testi siano
stati interpretati in passato e nel predire come lo saranno, con un certo grado di probabilità, nel futuro.
È evidente, come l'opera di Tarello ha messo in luce, che può segnalarsi fino a che punto l'attribuzione
di un significato a dei documenti normativi è fortemente condizionata dall'ideologia e dalle costruzioni
dogmatiche dei giuristi. La concezione dell'interpretazione giuridica che la Scuola genovese propone cerca di renderci
coscienti anche di questo aspetto dell'interpretazione.
Occupiamoci ora della nozione di ponderazione proposta da Guastini per i casi di conflitti tra i princìpi(5)
. Come ho detto nell'introduzione, la ponderazione suole contrapporsi alla sussunzione, ovvero, all'operazione
consistente nello stabilire che un caso determinato è un'istanza di un caso più generale. Può
essere, utilizzando la terminologia di C.E. Alchourrón ed E. Bulygin(6) , un caso di sussunzione individuale,
quando si afferma che un determinato caso individuale è un'istanza del caso generico, ciò avviene
quando diciamo che la morte di Cesare è un assassinio politico; oppure un caso di sussunzione generica,
ove si afferma che un caso generico (descritto mediante un predicato che esprime una determinata proprietà)
è incluso in un altro caso generico, cioè, si verifica quando affermiamo, ad esempio, che qualsiasi
oggetto che abbia la proprietà descritta dal predicato F, ha necessariamente la proprietà descritta
dal predicato G: un esempio potrebbe essere l'affermazione secondo cui tutti i casi di omicidio intenzionale e
premeditato di persone che investite di autorità con la intenzione di provocare un cambiamento nelle strutture
del potere, sono casi di assassinio politico.
La ponderazione, invece, è un'operazione che, secondo alcuni, non può essere ridotta alla sussunzione.
Secondo Guastini la ponderazione presenta le tre caratteristiche seguenti:
1. La ponderazione si realizza tra due princìpi
in conflitto, P1 e P2, i cui supposti di fatto si sovrappongono parzialmente, tra i quali v'è un'antinomia
di carattere parziale-parziale(7) . In questo caso, non è possibile risolvere l'antinomia in base a nessuno
dei tre criteri generali per la risoluzione delle antinomie: non è utilizzabile lex superior derogat inferiori,
perché si tratta di princìpi che hanno lo stesso rango: princìpi costituzionali, non è
utilizzabile lex posterior derogat priori, perché si tratta di princìpi espressi dallo stesso documento
normativo, di princìpi coetanei, allo stesso modo non è utilizzabile lex specialis derogat priori,
dato che l'antinomia è parziale-parziale non è possibile stabilire alcuna relazione di specialità
tra i princìpi(8) .
2. La ponderazione consiste nello stabilire una gerarchia assiologica tra i princìpi in conflitto. Una gerarchia
assiologica è una relazione tra i princìpi stabilita dall'interprete, attraverso un giudizio di valore(9)
. Come risultato della valutazione un principio (quello considerato superiore in detta gerarchia) prevale sull'altro
(o sugli altri) e risulta applicabile.
3. La gerarchia di valori non è stabilita in astratto, ma con riguardo al caso concreto. Questo dà
luogo ad una gerarchia che Guastini denomina, in maniera molto acuta, una gerarchia mobile, ovvero, per quanto
in un caso concreto P1 prevalga su P2, ben può accadere che in un altro caso sia P2 a prevalere su P1. La
conclusione è, utilizzando le parole dello stesso Guastini, la seguente:
"il conflitto non è risolto stabilmente, una volta per tutte, facendo senz'altro prevalere uno dei
due princìpi confliggenti sull'altro (…); ogni soluzione del conflitto vale solo per il caso concreto, e
resta pertanto imprevedibile la soluzione dello stesso conflitto in casi futuri"(10).
A mio avviso questa concezione della ponderazione comporta
due conseguenze particolarmente importanti.
1. La ponderazione è il risultato di una attività
radicalmente soggettiva. Ciò avviene, in accordo con Guastini, perché la gerarchia assiologica tra
i princìpi in conflitto è il risultato di un giudizio di valore dell'interprete e, sempre secondo
Guastini, i giudizi di valore hanno una natura radicalmente soggettiva. Tutto ciò non è difficile
da comprendere, se teniamo a mente la concezione generale dell'interpretazione di Guastini, dato che ogni enunciato
interpretativo è, per definizione, il risultato di una volontà (e, in questo senso, presuppone un
giudizio di valore) e non di una attività di carattere conoscitivo.
2. La ponderazione ha come conseguenza una forma particolare di quello che possiamo denominare particolarismo giuridico.
Il particolarismo è una dottrina ampiamente discussa nella filosofia morale, ma di meno nella teoria del
diritto(11) . Uno dei suoi maggiori difensori nel campo della filosofia morale, Jonathan Dancy, la presenta così:
"The leading thought behind particularism is the tought the behaviour of a reason (or of a consideration that
serves as a reason) in a new case cannot be predicted from its behaviour elsewehere"(12) .
Questa è, precisamente, la stessa conclusione che Guastini traeva dal fatto che le gerarchie tra princìpi
sono mobili, e valgono solo per il caso concreto. Una posizione particolarista suppone il rifiuto, nell'ambito
della ragion pratica, della razionalità sussuntiva, e la sua sostituzione con una diversa razionalità
detta narrativa, attenta a come i tratti salienti di determinate circostanze acquisiscono una tessitura determinata
che fa sì che, in quelle circostanze concrete, sia corretto tenere un determinato comportamento; nulla,
tuttavia, può essere ottenuto per giudicare altri casi dalla generalizzazione o universalizzazione delle
particolarità presenti in quelle circostanze.
L'attività di scegliere tra princìpi in conflitto si convertirebbe, in questo modo, in un'attività
non controllabile razionalmente. Si tratterà di un'attività paragonabile alla scelta del vino per
una cena, o la cravatta da mettere un determinato giorno, attività che dipendono da un giudizio di valore
soggettivo e da caratteristiche delle circostanze che non siamo disposti a generalizzare, ad esempio, sebbene sia
una ragione per scegliere un buon vino bianco il fatto che nella cena si servirà del pesce, questa ragione
può essere trascurata a favore di altre ragioni che valgono solo per il caso concreto. Si tratta di attività
soggettive e particolariste.
Anche la ponderazione è il risultato di una attività soggettiva è particolarista? Se la risposta
a questa domanda fosse affermativa, dovremmo concludere che il risultato della ponderazione non può essere
giustificato e, in questo senso, che i conflitti tra princìpi costituzionali non possono essere risolti
in un modo controllabile razionalmente, la loro motivazione non sarebbe soggetta a controllo. Utilizzando le parole
di Robert Alexy: "Molte volte si è obiettato contro la ponderazione che non costituisce un metodo che
permette un controllo razionale"(13) . Fosse anche solo perché tutto ciò risulta particolarmente
inquietante, vale la pena di vagliare la possibilità, spesso seguendo il pensiero dello stesso Alexy, che
il risultato della ponderazione non sia, in effetti, incontrollabile razionalmente.
3. Ragioni prima facie come criteri defettibili
L'idea che l'applicazione di princìpi in conflitto si risolva mediante una ponderazione, cioè, mediante
l'assegnazione di pesi differenti ai princìpi per sapere quale di questi ha maggiore forza, è solo
una metafora. Mentre è una verità empirica che tra due oggetti materiali qualsiasi, a e b, possiamo
stabilire una relazione di ordine connessa e transitiva, grazie ai predicati essere eguale o più pesante
di, dato che o a è eguale o più pesante di b o viceversa, ed è altresì verità
che se a è eguale o più pesante di b e b è eguale o più pesante di c, allora a è
eguale o più pesante che c; non è altrettanto ovvio che la stessa cosa accada tra i princìpi
in conflitto. Alle volte, ad esempio, il principio che stabilisce la libertà di informazione si trova in
conflitto con il principio che protegge il diritto all'onore, ma non è ovvia la possibilità di stabilire
una relazione di ordine tra questi due princìpi in maniera analoga alla relazione relativa al peso tra gli
oggetti materiali.
Tuttavia, non è corretto assumere che manchiamo di criteri per stabilire una gerarchia tra i princìpi,
ove si verifichino determinate circostanze. Pubblicare una notizia falsa, senza alcuna prova della sua veridicità,
relativa alla vita privata di una persona e lesiva del suo onore (ad esempio che un vescovo, o un ministro del
governo, o un professore universitario, sia membro di un gruppo dedito allo sfruttamento sessuale dei minori) è
un caso in cui la libertà di informazione deve cedere davanti al diritto all'onore. Pubblicare la notizia
vera che, ad esempio, un ministro del governo ha richiesto dieci milioni di dollari ad una determinata impresa
in cambio dell'appalto per costruire un'autostrada, rappresenta un caso in cui la libertà di informazione
è più importante del diritto all'onore. Le teorie sui diritti in questione che non diano conto di
dette solide intuizioni, possono considerarsi teorie inammissibili. L'ammissibilità di una teoria dipende,
infatti, dalla sua capacità di risolvere i casi paradigmatici. I dubbi su come ordinare i princìpi
nei casi di conflitto accadono su uno sfondo, spesso inarticolato, nel quale intuitivamente troviamo la soluzione
per determinati casi che, in qualche modo, a nostro avviso risulta ovvia(14) .
Pertanto la ponderazione non è il risultato di un'attività radicalmente soggettiva che presuppone
un giudizio di valore assolutamente privo di regole. I giudizi di valore che l'interprete realizza sono limitati
e non tutte le soluzioni sono accessibili all'interprete: i casi paradigmatici delimitano, per dir così,
l'ambito di scelta delle soluzioni. Se vogliamo usare una celebre metafora kelseniana, i paradigmi delimitano la
cornice (Rahmen) all'interno della quale deve realizzarsi il giudizio di valore dell'interprete, se vuole essere
ammissibile(15) .
Tutto ciò non suppone alcuna concezione particolare dei giudizi di valore. È ovvio che se i princìpi
P1 e P2 entrano in conflitto nella loro applicazione ad un caso, dobbiamo stabilire una qualche preferenza applicativa
tra di loro, in altre parole, dobbiamo gerachizzarli, attraverso un qualche criterio: un giudizio di valore. In
questa impostazione del problema resta aperto il problema della natura dei giudizi di valore, solo si insiste sul
fatto che se la concezione radicalmente soggettiva dei giudizi di valore comporta che non esistano criteri per
escludere alcuni giudizi di valore come candidati adeguati a fornire un criterio gerarchico ammissibile, allora
- per i motivi indicati - si tratta di una concezione non plausibile.
L'idea che non tutte le ricostruzioni dei princìpi in conflitto, non tutte le gerarchie possibili, sono
ammissibili, non ci dice ancora nulla sul come dobbiamo procedere per articolare tali gerarchie. È ancora
compatibile con la posizione particolarista più radicale. È possibile che per casi di conflitto ci
sia una soluzione corretta e, tuttavia, non sia possibile articolare detta soluzione in un modello sussuntivo.
In verità, lo stesso Guastini suggerisce un'ulteriore possibilità quando fa riferimento ai criteri
di risoluzione delle antinomie ed alla loro inapplicabilità (per ciò che concerne lex superior e
lex posterior) ai conflitti tra princìpi(16) .
"Non si comprende, invece, perché non possa applicarsi la regola 'lex specialis', che è precisamente
il criterio di soluzione delle antinomie comunemente impiegato per risolvere conflitti - meramente apparenti, come
si usa dire - tra norme contigue, contenute appunto in un medesimo testo normativo e, pertanto, coeve e pari-ordinate"(17)
.
L'idea di Guastini è la seguente: supponiamo che il principio P1 stabilisce 'Gli F devono fare A' ed il
principio P2 stabilisce 'Gli G devono fare non A', se questi princìpi devono essere applicati ad un caso
in cui qualcuno sia F e G, allora risulterà che questi deve fare A e non A, il che non è logicamente
possibile. Applicando la regola lex specialis, il conflitto potrebbe risolversi riformulando in sede interpretativa
uno dei due princìpi, ad esempio, P1, che ora dirà: 'Gli F e non G devono fare A'. Così riformulato
il nuovo P1, chiamiamolo P'1, non è più incompatibile con P2.
L'idea che soggiace a questa teoria consiste nel considerare i princìpi come norme che stabiliscono qualificazioni
deontiche (doveri, proibizioni o facoltà) non in maniera categorica ma prima facie, ossia, qualificazioni
deontiche defettibili o superabili.
La nozione di doveri prima facie fu applicata, come è noto, da W.D. Ross per superare alcune difficoltà
della morale kantiana, che considera i doveri morali sempre categorici (obbligationes non collinduntur). Ross suggerì
che i doveri prima facie equivalessero ai doveri condizionali(18) . Io ritengo, però, che la identificazione
tra il carattere condizionale ed il carattere di defettibilità dei princìpi abbia prodotto alcune
confusioni nella letteratura morale e giuridica concernente i conflitti di norme e le collisioni tra princìpi,
confusioni che vale la pena di evidenziare.
Può affermarsi che io abbia il dovere (morale) di andare a trovare mia madre se è gravemente malata;
il mio dovere è condizionale dato che nasce quando mia madre è malata. Ad ogni modo, questo non significa
che il mio dovere sia prima facie o defettibile. Il mio dovere sarà defettibile o meno nella misura in cui
può essere superato da un altro dovere. Seguendo alcune idee di Carlos E. Alchourrón(19) , possiamo
affermare che i doveri condizionali possono essere defettibili o meno. I doveri condizionali indefettibili sono
i condizionali classici (o, meglio ancora, condizionali in senso stretto, una implicazione stretta è solo
un condizionale materiale generalizzato in relazione alle circostanze, ma in questo scritto trascurerò tale
complicazione) ed il loro antefatto è una condizione sufficiente per l'efficacia del dovere. I doveri condizionali
indefettibili (DCI) possono essere rappresentati nella seguente maniera:
(DCI) A ® OB
È importante rendersi conto che questa formulazione ha, almeno, due conseguenze importanti: 1) permette
l'applicazione della regola logica del modus ponens, se abbiamo (DCI) e abbiamo A, possiamo ottenere il dovere
di realizzare B e 2) autorizza l'utilizzo della regola del rinforzo dell'antecedente, ovvero, se A è una
condizione sufficiente del dovere di realizzare B, lo è anche A ove si verifichi una qualsiasi altra circostanza.
I doveri condizionali defettibili (DCD), al contrario, non autorizzano né il modus ponens né il rinforzo
dell'antecedente. Se il mio dovere di visitare di mia madre seriamente malata è prima facie, allora potrà
essere sconfitto, così, se anche mia figlia fosse malata, solo io posso occuparmene e, inoltre, mia madre
che si trova lontano, è aiutata da mio fratello, allora queste circostanze potrebbero permettermi di superare
il mio dovere di andare a trovare mia madre gravemente malata (costituiscono quello che alle volte viene definito
un defeater). Per questo motivo, la grave malattia di mia madre non è una condizione sufficiente perché
nasca in me il dovere di visitarla (i doveri defettibili non autorizzano l'uso del modus ponens), ed il dovere
di andare a trovare mia madre non si mantiene siano quelle che siano le circostanze che si aggiungano alla sua
grave malattia (i doveri defettibili non consentono il rinforzo dell'antecedente). La malattia di mia madre non
è condizione sufficiente del mio dovere di andare a trovarla, è solo una condizione contribuente
(una condizione contribuente è una condizione necessaria di una condizione sufficiente)(20) . Il problema
riguardo a questi doveri condizionali defettibili è che non ci permettono di ottenere doveri attuali o all
things considered. Tuttavia, Carlos E. Alchourròn ha dimostrato come possiamo rendere espliciti gli assunti,
che si trovano impliciti, nei nostri doveri defettibili. L'antecedente del dovere di fare B, non è solo
A, ma A insieme alle sue presupposizioni in un certo contesto. Queste assunzioni possono considerarsi come una
protezione del dovere dai suoi defeaters. Tutto ciò può essere rappresentato come un operatore di
revisione (f) che si applica al presupposto del condizionale. Il nesso tra il presupposto ed il dovere defettibile
può essere rappresentato con il simbolo ' > ' che consente di distinguerlo dal condizionale classico.
Per cui (DCD) può essere rappresentato nel modo seguente:
(DCD) A > OB= f A® OB(21) .
È importante notare che mentre da A non è dato passare ad OB, una volta che abbiamo esplicitato le
circostanze implicite che accompagnano A grazie all'operatore di revisione, se queste assunzioni si verificano
insieme ad A, allora sì che sarà possibile ottenere OB. In buona sostanza, possiamo ottenere dei
doveri attuali se ci assicuriamo che l'antecedente di questi doveri non è venuto meno, ovvero, che si compiono
tutte le loro assunzioni implicite.
È ovvio che sono immaginabili anche dei doveri incondizionali e indefettibili (alle volte è così
pensato il dovere di non torturare). Possiamo considerare che detti doveri sono, per dir così, sempre attuali
o, detto in un altro modo, che le loro condizioni di applicazione sono tautologiche (ovvero, sono vere in qualsiasi
stato di cose possibile). Per questo i doveri incondizionali e indefettibili (DII) possono essere rappresentati
così:
(DII) OB= T® OB(22) .
Detto ciò, è importante ricordare che sono altresì concepibili i doveri incondizionali e defettibili.
Doveri che non hanno alcuna condizione di applicazione esplicita, ma che, in cambio, possono essere sconfitti se
si verificano determinate circostanze. In altre parole, l'antecedente tautologico si trova soggetto all'operatore
di revisione. È ovvio che assoggettare l'antecedente tautologico all'operatore di revisione equivale a detautologizzarlo,
in questo senso il suggerimento di W.D. Ross, a cui si è fatto riferimento in precedenza, secondo la quale
i doveri prima facie sono un tipo di doveri condizionali può dirsi parzialmente veritiera. Detto ciò,
credo che sia fondamentale distinguere tra condizionalità e defettibilità. Sulla base delle idee
precedentemente esposte i doveri non condizionali, ma defettibili (DID), possono essere rappresentati così:
(DID): fT ® OB.
Così sono pensati, spesso, alcuni doveri morali: il dovere di rispettare le promesse, il dovere di dire
la verità ecc.. Il dovere di onorare le promesse, ad esempio, è un dovere categorico, nel senso che
non presenta alcuna condizione di applicabilità esplicita, ma può essere comunque sconfitto se si
verificano determinate circostanze, per esempio nel caso in cui entri in conflitto con altri doveri.
Tenendo ben in mente questa quadripartizione, possiamo domandarci a quale categoria appartengano i criteri giuridici,
in concreto, a quale categoria appartengono le regole ed i princìpi giuridici. È bene considerare,
ad esempio, che alcune volte si presenta la questione come se le regole imponessero doveri (o diritti) condizionali
e indefettibili, mente i princìpi sarebbero in grado di imporre doveri (o diritti) condizionali, ma defettibili:
i princìpi lascerebbero aperte le condizioni di applicazione(23) . Ancor di più, si suole affermare
che detta distinzione ripropone il diverso comportamento logico che, secondo la nota distinzione di Ronald Dworkin,
hanno le regole ed i princìpi. Tuttavia, ci sono, al meno, due ragioni per dubitare della adeguatezza dei
queste teorie.
In primo luogo, molte proposizioni che abitualmente si considerano regole giuridiche sono defettibili (hanno delle
eccezioni cui non si applicano), così, ad esempio, l'obbligo dei giudici di punire gli omicidi viene meno
nel caso in cui vi sia stata legittima difesa, stato di necessità ecc..
In secondo luogo, spesso si concepiscono i princìpi come enunciati che non presentano in forma esplicita
alcuna delle loro condizioni di applicabilità. Quando R. Dworkin si occupa del caso Riggs vs. Palmer e l'applicazione
del principio secondo cui nessuno deve trarre beneficio dai suoi stessi reati aggiunge che detto principio 'does
not even purport to set out conditions that make its application necessary'(24) .
Probabilmente, dato che gli usi dei giuristi non sono stabili, possono trovarsi candidati a princìpi giuridici
all'interno di ciascuna delle quattro categorie. La Costituzione spagnola all'art. 18 stabilisce quello che alle
volte è definito principio dell'inviolabilità del domicilio, però lo fa con una formula che
alcuni considerano un dovere (di omissione da parte dei terzi) condizionale e non defettibile, un caso di DCI)
(il domicilio è inviolabile a meno che non si verifichi la condizione rappresentata dal consenso del titolare,
dall'autorizzazione giudiziale o dalla flagranza di delitto)(25) . Altre volte i princìpi possono essere
considerati come doveri condizionali e defettibili (DCD): ne sarebbe un esempio il dovere di non arricchirsi ingiustamente
nelle relazioni commerciali. Allo stesso modo si può pensare che un principio ponga un dovere incondizionale
e defettibile (DII), un esempio di ciò sarebbe il divieto di torturare stabilito dall'art. 15 della Costituzione
Spagnola. La maggior parte dei princìpi costituzionali sembra che si adeguino bene alla categoria dei princìpi
che stabiliscono doveri (e correlati diritti) non condizionali, ma defettibili (DID): i princìpi che riconoscono
la libertà di espressione, il diritto all'onore, il diritto alla libertà religiosa e tanti altri.
Il mio suggerimento è il seguente: può anche darsi che la distinzione tra princìpi e regole
debba essere concepita non in termini di possibilità di sconfiggere gli enunciati in questione, ma in termini
di apertura o concrezione di detti enunciati. Forse la maggior parte degli enunciati giuridici sono defettibili,
sebbene il grado di apertura delle loro condizioni di applicazione ci costringa a parlare di princìpi e
regole (almeno in determinati contesti): quando c'è una lista determinata di condizioni esplicite tendiamo
a parlare di regole, quando le condizioni di applicazione sono tutte implicite siamo portati a parlare di princìpi(26)
.
In ogni caso, possiamo adottare questa convenzione e considerare i conflitti tra princìpi come problemi
di conflitti tra enunciati che stabiliscono doveri o diritti non condizionali, ma prima facie. Detto ciò,
la questione è come dobbiamo fare per esplicitarne le condizioni di applicabilità in modo che il
conflitto possa essere evitato. Se siamo capaci di mostrare in che modo questa operazione debba essere portata
a termine, la ponderazione può essere ridotta ad un tipo di sussunzione, e colui il quale deve applicare
i princìpi sarà in grado di motivare razionalmente la sua decisione. Se, al contrario, questa operazione
non può essere realizzata la critica particolarista recupererà la sua forza e non sarà possibile
giustificare la motivazione.
4. Alexy sulla ponderazione
Nella recente filosofia del diritto, il tentativo più importante - per quel che mi risulta - di provare
a conquistare un'immagine della ponderazione assoggettabile al controllo della ragione è stato compiuto
da R. Alexy(27) .
Vadiamola in dettaglio:
Secondo Alexy i conflitti tra regole ed i conflitti tra princìpi hanno in comune che, in entrambi i casi,
l'applicazione delle norme in conflitto produce risultati incompatibili. Sono ipotesi di antinomia normativa (come
quando, ad esempio, è proibita la sosta in una strada determinata e, contemporaneamente, il conducente è
obbligato a rispettare la luce rossa del semaforo: nessuno, secondo logica, può rispettare entrambe le norme
contemporaneamente). Si differenziano, ad ogni modo, per la maniera in cui viene risolto il conflitto.
Un conflitto tra regole si risolve o introducendo in una delle regole una clausola di eccezione che elimina il
conflitto, o dichiarando invalida, almeno, una delle regole.
Ad esempio: c'è una (almeno apparente) antinomia tra la norma del Codice penale che obbliga i giudici a
condannare gli omicidi e la norma penale che considera giustificato l'omicidio nei casi di legittima difesa. Alcuni
penalisti ritengono che sia possibile risolvere il problema (la cosiddetta teoria degli elementi negativi del tipo)
considerando le cause di giustificazione come integranti negativi della fattispecie penale, cioè le cause
di giustificazione opererebbero come eccezioni. Ci sono dei casi, d'altro canto, nei quali il conflitto tra una
disposizione di livello legale ed altra derivata da una fonte regolamentare si risolve semplicemente dichiarando
l'invalidità della disposizione di rango regolamentare.
Il conflitto tra princìpi deve essere risolto, secondo Alexy, in maniera diversa. Quando due princìpi
entrano in conflitto (ad esempio, perché il primo stabilisce che una determinata condotta è proibita
ed il secondo che è permessa) uno dei due deve cedere di fronte all'altro. Ma questo non significa che uno
dei due princìpi non sia valido, né che al principio non osservato debbano formularsi delle eccezioni.
Ciò che accade è che, quando si verificano determinate circostanze, un principio precede l'altro.
Per questo motivo si afferma che, nei casi concreti, i princìpi hanno un peso differente ed il conflitto
deve risolversi facendo riferimento al peso e non alla validità. Supponiamo che in un caso concreto la libertà
di informazione, riconosciuta costituzionalmente, entri in conflitto con il diritto all'onore, anch'esso riconosciuto
costituzionalmente. Chiameremo il principio che stabilisce la libertà di informazione LI ed il principio
che stabilisce il diritto all'onore DH, nel caso in cui si verifichino le circostanze C1, nelle quali, ad esempio,
l'informazione trasmessa è veritiera e di rilevanza pubblica, LI precede DH: chiameremo P la relazione di
precedenza e potremmo rappresentare il tutto così:
(LI P DH) C1,
invece, ove si verifichino le circostanze C2 nelle quali, sebbene l'informazione conservi rilevanza pubblica, sia
stata trasmessa insieme ad una serie di insulti del tutto gratuiti, la relazione sarà la seguente:
(DH P LI) C2.
In detta operazione di determinazione delle preferenze condizionate consiste la ponderazione, secondo Alexy. Una
volta stabilita la relazione, possiamo ottenere la regola secondo la quale, ad esempio, nel caso in cui l'informazione
sia veritiera la sua diffusione è permessa e, nell'altro caso, dato che l'informazione è ingiuriosa,
la diffusione deve esserne proibita. In tal modo vediamo come la relazione di precedenza condizionata ci permette
di ottenere una regola per risolvere il caso, qualcosa che possiamo denominare legge di collisione. R. Alexy la
sintetizza così:
Se il principio P1, sotto le circostanze C, precede il principio P2: (P1 P P2) C, e se da P1 nelle circostanze
C deriva la conseguenza R, allora è valida una regola che contiene C come presupposto di fatto ed R come
conseguenza giuridica: C®R.
Detto in maniera meno tecnica: le condizioni sotto le quali un principio precede un altro costituiscono il supposto
di fatto di una regola che esprime la conseguenza giuridica del principio precedente. Questo è ciò
che Alexy chiama norme di diritto fondamentale ascritte ('Zugerondneten Normen' in tedesco, che in questo contesto
sarebbe forse il caso di tradurre con 'norme implicite'), nelle quali 'può essere sussunto il caso (il corsivo
è mio)(28) . Secondo Alexy, l'idea che la ponderazione conduca a decisioni particolari si presta ai malintesi.
Le regole che nascono dalla legge di collisione rendono, secondo Alexy, conciliabili "la ponderazione nel
caso particolare e la universalità"(29) . È dato domandarsi se sia esattamente così.
In concreto, R. Alexy non offre una soluzione per i casi in cui il principio P1 prevale sul principio P2 sotto
le circostanze C1 ed il principio P2 prevale sul principio P1 sotto le circostanze C2, per il caso (supponiamolo
possibile) in cui si verifichino contemporaneamente C1 e C2. Abbiamo bisogno di una nuova legge di collisione che
stabilisca la precedenza nelle circostanze C1 e C2. Un particolarista direbbe che, dato che le circostanze sono
descritte mediante proprietà, e le proprietà dei casi individuali sono potenzialmente infinite, è
possibile ripetere questa operazione all'infinito, mostrando che le collisioni tra i princìpi non sono evitabili
e che, pertanto, il ragionamento morale non è assoggettabile alla razionalità sussuntiva(30) .
Non è possibile nemmeno sfuggire alla sfida del particolarismo riformulando i princìpi e dicendo,
per esempio: si riconosce la libertà di informazione sempre che non si scontri con altri princìpi
che, nelle circostanze del caso, abbiano la precedenza nei suoi confronti(31) . Se riformuliamo così tutti
i princìpi, infatti, esplicitiamo solamente la clausola ceteris paribus, che esplicita, a sua volta, l'intuizione
che detti princìpi stabiliscono solo diritti e doveri prima facie.
5. Contro il particolarismo
L'unica maniera di fuggire dal particolarismo consiste nel concepire una riformulazione ideale dei princìpi
che tenga in conto tutte le proprietà potenzialmente rilevanti. Supponiamo che ci si limiti ad un universo
di casi formato dalle azioni informative dei media concernenti persone. Supponiamo altresì che, per semplificare,
solamente ci siano due princìpi che regolano la situazione: P1 che riconosce la libertà di informazione
e P2 che riconosce il diritto all'onore. P1 può intendersi come: è facoltativo fornire informazioni
su fatti che concernono le persone e P2 come: è proibito fornire informazioni che mortifichino l'onore delle
persone. In alcune circostanze, è chiaro, P1 e P2 entrano in conflitto. Allora, dobbiamo procedere a ricostruire
i nostri princìpi in modo tale da stabilire una gerarchia condizionata tra loro, suscettibile, inoltre,
di universalizzazione consistente, ovvero che non produca conflitti ad altri livelli(32) . Supponiamo di considerare
rilevanti due proprietà:
C1: che la notizia abbia rilevanza pubblica
C2: che la notizia sia veritiera (secondo la giurisprudenza prevalente, che sia veritiera o falsa, ma diligentemente
comprovata)(33) .
È possibile, allora, riformulare i nostri princìpi affermando qualcosa come N1: "la libertà
di informazione è garantita quando le notizie sono di rilevanza pubblica e sono, altresì, veritiere"
e N2: "è proibito attentare all'onore attraverso l'uso dei mezzi di informazione, salvo quando le notizie
siano di rilevanza pubblica e veritiere".
Seguendo le teorie di Carlos E. Alchourrón ed Eugenio Bulygin(34) , C1 e C2 permettono di costruire una
quadripartizione dell'universo di discorso in quattro casi elementari: 1) C1 & C2, 2) C1 & no C2, 3) no
C1 & C2 e 4) no C1 & no C2. La norma N1 correla il caso 1) con la conseguenza normativa "facoltativo
informare", i casi 2), 3) e 4) sono correlati, attraverso la norma N2, alla soluzione "proibito informare".
Come si può notare, questo semplice sistema normativo regola in maniera consistente e completa tutti i casi
possibili del suo universo di casi. Non ci sono più dei doveri defettibili, i doveri che nascono dalla riformulazione,
dalla esplicitazione degli enunciati impliciti, dei princìpi in conflitto, danno luogo ad un sistema normativo
di enunciati condizionali ma indefettibili, che permette di sussumere i casi individuali in alcuni dei casi generici
disponibili. È ovvio che possano persistere molti dubbi sul fatto che un'informazione sia o meno di interesse
pubblico o veritiera, ma si tratta di dubbi prodotti dal tessuto aperto dei nostri concetti, per risolvere un caso
individuale dovremmo prima sussumerlo in uno dei casi generici.
È del tutto evidente che possa mettersi in questione che queste siano le uniche proprietà rilevanti,
può non essere pacifico quale sia la tesi di rilevanza adeguata, che identifica le proprietà rilevanti.
Orbene, di fatti, si accetta che alcune proprietà (come le citate C1 e C2) sono rilevanti e, in cambio,
c'è meno accordo sul fatto se ci siano o meno altre proprietà rilevanti. Qualcuno potrebbe affermare
che sebbene un'informazione sia di interesse pubblico e sia, al contempo, veritiera, non deve permettersene la
diffusione se utilizza delle espressioni ingiuriose(35) . Questa tesi può essere intesa come argomento a
favore all'uso di un universo di proprietà maggiormente complesso rispetto al precedente. Si aggiunge così
una terza proprietà, C3, e si considera rilevante che l'informazione contenga o meno delle espressioni ingiuriose.
Se contiene delle espressioni ingiuriose l'informazione è proibita. Abbiamo, ora, otto possibili casi elementari:
C1 & C2 & C3
C2 & C2 & no C3
C1 & no C2 & C3
C1 & no C2 & no C3
no C1 & C2 & C3
no C1 & C2 & no C3
no C1 & no C2 & C3
no C1 & no C2 & no C3
In questo universo di casi, la libertà di informazione solo non è vietata nel caso 2). Fortunatamente,
entrambi gli universi di casi sono compatibili e si produce un conflitto solo tra il caso 1) del primo ed il caso
1) del secondo universo. Mentre il primo universo di casi implica che nel caso 1) del secondo universo l'informazione
è facoltativa, con riguardo al secondo universo di casi è proibita. Per di più se un Tribunale
non si fosse mai pronunciato su di un caso nel quale siano state utilizzate delle espressioni ingiuriose, le due
tesi sarebbero perfettamente in grado di descrivere i casi realmente accaduti nel passato. Quando il Tribunale
affronta un caso di espressioni ingiuriose, può utilizzare quella che nell'ambito del precedente è
conosciuta come la tecnica del distinguishing, in tal modo, pur rispettando tutti i casi già decisi in passato,
introduce un universo di casi più completo, risolve il caso attuale e stabilisce un criterio per risolvere
casi futuri(36) .
6. L'ideale della compiutezza normativa
Potrebbe essere utile, a questo punto, fare riferimento ad una teoria di R. M. Hare(37) . Hare distingue tra il
livello intuitivo ed il livello critico della moralità. Al livello intuitivo abbiamo solamente un insieme
inarticolato di princìpi morali prima facie. Questo comporta la possibilità di conflitti tra detti
princìpi e, anche, l'incapacità dell'intuizione di risolvere detti conflitti. Al livello critico,
al contrario, costruiamo questi princìpi in modo che sia possibile considerare le proprietà morali
che teniamo in considerazione come sopravvenienti, se l'azione individuale a è corretta, dato che possiede
le proprietà P1, P2 e P3, allora l'azione individuale b, che possiede le stesse proprietà è
anch'essa necessariamente corretta. È ovvio che, da un lato, il livello critico della moralità è
solo una idealizzazione della nostra pratica come giudici morali e, dall'altro, che, solo con una delimitazione
delle proprietà che consideriamo rilevanti, detto livello può raggiungere i suoi obbiettivi.
Detto ciò, il mio concetto di ponderazione può essere ben illustrato da queste idee di Hare. Da un
lato, abbiamo i nostri testi costituzionali con un insieme di princìpi prima facie, che possono entrare
in conflitto tra loro e che si presentano sullo sfondo di un contesto inarticolato. Si tratta della comprensione
della Costituzione solamente al livello intuitivo, di qualcosa di simile a ciò che C. E. Alchourrón
ha denominato il Master Book(38) . Al livello critico, al contrario, i princìpi sono articolati in uno schema
generale che dà una risposta univoca per ogni caso, poiché ogni caso individuale rappresenta un'istanza
di un caso generico che mette in relazione il caso con una soluzione normativa, rendendo possibile in tal modo
la sussunzione. Al livello critico la Costituzione costituisce, di nuovo nella terminologia di Alchourrón,
un Master System, ovvero, un sistema normativo capace di offrire delle risposte consistenti e complete per tutti
i casi.
È ovvio che si tratta solamente di una idealizzazione(39) . Come ho dimostrato nel caso del conflitto tra
la libertà di informazione ed il diritto all'onore, è possibile che ci siano diverse maniere di realizzare
il passaggio tra la Book Constitution e la Master Constitution, ovvero, che la nostra Costituzione esprima non
una ma diverse idealizzazioni possibili. In questo senso può dirsi che alcuni risultati restano indeterminati.
Tuttavia, è importante rendersi conto del fatto che se è possibile paragonare tra loro gli universi
di casi rilevanti, allora è molto probabile che detta indeterminazione riguardi solo alcuni casi, mentre
altri casi sono determinati in maniera univoca perché presentano la stessa soluzione, per dir così,
in tutte le Master Constitutions ammissibili. I casi di indeterminazione possono essere contemplati come casi nei
quali i valori che si trovano alla base dei princìpi in conflitto sono incommensurabili. Ovvero, un caso
è indeterminato quando ci sono diverse gerarchie ammissibili che conducono a soluzioni incompatibili per
quel caso, e nessuna di esse è privilegiata. Secondo questa concezione, detta indeterminazione è
simile alla indeterminazione semantica prodotta dalla vaghezza. Dire che è vago che x è ricco equivale
a dire che tra le forme ammissibili di precisare il predicato "essere ricco" in una x è ricco
ed in altre x non è ricco(40) . Dire, allora, che è indeterminato che A è obbligatorio in
accordo con un sistema normativo, è dire che in alcune delle idealizzazioni o articolazioni ammissibili
di detto sistema A è obbligatorio ed in altre A non è obbligatorio(41) .
Ritorniamo, per finire, alla posizione di Guastini sulla ponderazione. Rispetto al soggettivismo radicale che minaccia
detta operazione, la mia posizione è che non qualsiasi gerarchia assiologica possibile tra i princìpi
è ammissibile. In relazione con la mobilità delle gerarchie la mia posizione è più
sfumata: dato che ci sono diverse gerarchie ideali dei nostri princìpi in conflitto, c'è un certo
grado di indeterminazione nella applicazione dei princìpi in conflitto, ma la mobilità non suppone
l'incapacità di convertire la ponderazione in una operazione di sussunzione. La razionalità sussuntiva
è, a mio avviso, un presupposto necessario per la giustificazione di tutte le nostre decisioni(42) . È
possibile, tuttavia, che non sempre ci si trovi in condizione di articolare consistentemente i nostri giudizi,
che le nostre intuizioni siano opache al compito di articolare, e, chiaramente, è anche possibile che non
ci interessi giustificare alcune delle nostre decisioni (il che accade, in generale, quando scegliamo il vino per
la cena o la cravatta che indosseremo per un determinato giorno, ma se volessimo giustificare dette decisioni,
dovremmo affrontare un qualche tipo di attività generalizzante che finirebbe nella sussunzione). Tuttavia,
nella misura in cui riusciamo ad isolare un insieme di proprietà rilevanti, siamo pronti ad offrire soluzioni
per tutti i casi, sebbene dette soluzioni possono essere messe in questione se poniamo in dubbio la adeguatezza
del criterio attraverso cui abbiamo selezionato le proprietà rilevanti.
Idealmente il giudice costituzionale che applica princìpi costituzionali opera con un insieme delimitato
di proprietà rilevanti che permettono di mettere in relazione in maniera univoca determinati casi generici
con le loro soluzioni giuridiche. La ponderazione consiste nella articolazione di questo insieme di proprietà
rilevanti, nella esplicitazione delle condizioni di applicazione che previamente erano solo implicite. Una volta
realizzato questo compito, l'applicazione dei princìpi consisterà nella sussunzione di casi individuali
in casi generali. Se la applicazione del Diritto consiste nel risolvere casi individuali mediante l'applicazione
di enunciati generali, allora - per ragioni concettuali - non è possibile applicare il Diritto senza la
sussunzione.
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